Domenico Ridola

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La formazione giovanile

Domenico Ridola nacque il 13 ottobre 1841 a Ferrandina, dove rimase pochi mesi per poi essere portato a Matera nell’antica casa di via Tre Corone, nei pressi di Piazza Del Sedile. I suoi genitori, Gregorio Ridola e Camilla De Gemmis, provenienti da famiglie benestanti, gli permisero di studiare prima presso la scuola privata del canonico Eustachio Guanti e poi presso il seminario Lanfranchi, che frequentò con profitto; le speranze della famiglia erano infatti quelle di indirizzarlo alla carriera ecclesiastica. Gli anni in cui Ridola si formò coincisero con il processo di Unificazione nazionale che il Mezzogiorno respinse reagendo al nuovo regime col brigantaggio, un fenomeno esploso violentemente in tutto il Sud nel 1861, che va inquadrato sullo sfondo di una società molto complessa per via della sua arretratezza e disaggregazione. La conclusione dei suoi studi coincise con la chiusura del seminario a causa dei movimenti risorgimentali. La popolazione, e forse la stessa famiglia Ridola, decise dopo poche settimane la riapertura del seminario del quale il Ridola divenne prefetto, anche se per un breve periodo. Successivamente si iscrisse alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Napoli, dove si distinse in gare tra studenti su tesi di fisica e chimica; si laureò brillantemente all’età di 24 anni, nel 1865, ma per cinque anni non tornò a Matera perché le strade erano infestate dai briganti. Continuò a frequentare i luoghi di cura partenopei e s’impegnò nella traduzione di riviste scientifiche in francese, inglese e tedesco grazie ai corsi di lingue che aveva frequentato. Iniziò la sua carriera professionale frequentando cliniche e coltivando lo studio e la ricerca: pubblicò saggi, articoli e recensioni su riviste specializzate. Arrivò per primo ad un concorso indetto dalla Facoltà napoletana, ma non ottenne la somma della borsa di studio all’estero perché fu inspiegabilmente assegnata ad altri due studenti che non avevano nemmeno partecipato al concorso: una pesante ingiustizia che graverà per sempre sull’animo di Ridola. Grazie all’interessamento dei suoi genitori, però, riuscì comunque a continuare i suoi studi in Italia , a Bologna e Milano,  e all’estero, a Vienna, posti nei quali entrò in contatto con eminenti scienziati dell’epoca. A causa dell’infermità del padre dovette rinunciare a stabilirsi a Napoli, dove avrebbe potuto intraprendere una brillante carriera universitaria, per tornare a Matera ed avviare il suo studio medico in via Duomo, mettendo a disposizione dei pazienti le sue notevoli conoscenze scientifiche e tecniche sconosciute ai suoi colleghi, ancorati alla medicina ippocratica.

Il ritorno a Matera

La sua acuta intelligenza, l’ampia preparazione e l’amore per la ricerca, insieme all’uso di strumenti diagnostici all’avanguardia per la Matera di quei tempi, gli fecero guadagnare presto una fama notevole, a tal punto da essere chiamato più volte anche nella vicina Puglia per alcuni consulti. In seguito cominciò ad insegnare francese nell’Istituto Tecnico e nelle classi ginnasiali del Liceo Classico Duni, lo stesso dove nel 1882 arriverà, come professore di latino e greco, Giovanni Pascoli. Il 1872 fu un anno molto importante per il dottore, infatti scoprì una tipica patologia pediatrica, che fu appunto chiamata “sindrome del Ridola”: si trattava di una particolare neoformazione sottolinguale, di cui, però fece soltanto una descrizione clinica. In questo stesso anno nacque anche la sua passione per la ricerca archeologica: già dedito alla lettura di trattati di archeologia, quando l’amico farmacista Riccardi gli regalò una punta di freccia in selce (trovata nella campagna materana insieme a conchiglie fossili) decise di dedicarsi all’attività di una serie di sopralluoghi in maniera sistematica. Mosso verso questa impresa non soltanto dalla bellezza dei reperti o dal gusto per la ricerca e la scoperte, il Ridola archeologo fu ispirato soprattutto dalla possibilità di spingersi sempre più oltre nella conoscenza della storia della sua città (attraverso un metodo di ricerca ancora una volta nuovo e innovatore  per il contesto culturale della sua Matera). Così tra il 1872 e il 1878 diede inizio alle sue esplorazioni scoprendo per prima la Grotta dei Pipistrelli e cominciò così una nuova parte della sua vita con l’attività di archeologo. Nel 1877, a riconoscimento dei suoi meriti, fu nominato “Ispettore onorario degli scavi e dei monumenti”, titolo che mantenne a vita, mentre nel 1878 fu eletto all’unanimità consigliere comunale e più volte riconfermato. In questi anni come medico si occupò della scrittura di un testo scientifico: “Un efficace metodo di cura in talune forme gravi di isterismo”, si interessò, cioè, di problematiche simili a quelle che impegnarono negli stessi anni a Vienna Sigmund Freud. Nel 1892 fu acclamato Sindaco di Matera e svolse il suo incarico in maniera così accorta che quando fu costretto a rassegnare le dimissioni per ragioni familiari (la morte improvvisa del fratello che costrinse il dottore, ancora scapolo, ad assumersi il carico della famiglia) il Consiglio Comunale lo pregò comunque di rimanere, concedendogli addirittura un lungo periodo di congedo. Nel 1902 il Presidente del Consiglio Giuseppe Zanardelli decise di intraprendere un viaggio non facile verso Matera, infatti le condizioni delle strade e delle comunicazioni non erano affatto favorevoli, soprattutto per un presidente settantaseienne. Si trattò di un viaggio di ricognizione nelle lontane terre del Sud, un primo vero interessamento da parte dello Stato per toccare con mano le tristi e penose condizioni in cui quelle regioni erano state abbandonate. Quello di Zanardelli fu un chiaro segno di impegno politico per la crescita sociale ed economica del paese, ma il viaggio fu innanzitutto la risposta all’interpellanza postagli in Parlamento da Michele Torraca, parlamentare lucano, compagno di studi ed amico personale di Ridola, che nel 1906 venne eletto deputato del Parlamento prendendo proprio il posto del suo amico scomparso poco prima. Nel contempo Ridola continuò con impegno e assiduità la sua ricerca di archeologo  e, nel 1910, donò allo stato la sua ricca raccolta di cimeli preistorici che vennero dapprima raccolti nel suo studio di via Duomo, poi spostati in alcuni locali del Liceo Duni e infine sistemati nell’ex-convento di Santa Chiara diventando la grande ricchezza del “Museo Archeologico Nazionale Domenico Ridola”. Lo stesso Ridola suddivise i reperti nelle sezioni ancor oggi visibili: geologia, paleolitica, neolitica, età del Bronzo, epoca protostorica e Magna Grecia. Nel 1913 con la nomina di senatore arrivò una nuova svolta nella sua carriera politica, che svolse sempre con il consueto impegno, non mancando alle sedute in aula, soprattutto quando si trattava di problematiche e di argomenti di sua competenza. Era contrario al voto per le donne, ma si impegnò nella lotta per la regolamentazione degli orari di lavoro per donne e fanciulli che a suo parere bisognava esonerare dal lavoro notturno. Ridola morì la sera dell’11 giugno 1932, alla veneranda età di 91 anni, compianto da tutti per la sua rettitudine, cultura e disponibilità, ma soprattutto senza aver mai smesso di esercitare la sua attività di ricercatore e studioso.

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